[Il #collettivo di gestione #bida rifiuta la partecipazione senza #webcam a un'#assemblea nemmeno gestionale. La webcam è sempre stata un elemento estraneo alle relazioni che abbiamo costruito qui e fuori l'istanza.
Nel p.s. di questo commento [⚠ AGGIORNAMENTO: commento rimosso e non più raggiungibile, si trova in calce a questo post] troverete vari perché.
Qui sotto trascrivo il rifiuto alla partecipazione del collettivo, che è bene sia pubblico.
Sta all'assemblea dell'istanza di bida e alle altre istanze valutare se di “ostruzionismo” si tratti e se riconoscere questi metodi affini all'autogestione di un'istanza.]
Risposta del collettivo Bida
Ciao Diorama,
ne abbiamo parlato,
se ogni cosa deve diventare motivo di divisione e conflitto per bloccare o mettere in difficoltà un intero percorso, che di ostacoli ne ha dovuti superare già molti e ce la sta mettendo tutta per riprendere, non ci stiamo.
Sappiamo che non è necessaria una webcam per creare spazi di aggregazione sociale e azione politica. Ma pensiamo che, per il tipo di percorso che stiamo portando avanti in queste assemblee, invece lo sia. Come abbiamo detto piú volte, queste assemblee online di Bida vogliono ricalcare il piú possibile le assemblee d'istanza, che sono incontri di persona e (pandemia permettendo) continueranno a esserlo.
Questo è l'unico motivo per cui chiediamo una presentazione in webcam di chi partecipa.
Le differenze sull'istanza sono molte, ma abbiamo bisogno di creare fiducia su mastodon.Bida con chi è interessatə a coltivarla, e per noi incontrarsi come persone in carne ed ossa, seppur mediate da uno schermo, è un punto di partenza fondamentale nella creazione di questa fiducia.
Se questo non è accettato, o bisogna usarlo per fare ostruzionismo, non ci stiamo, non lo accettiamo più da nessunə, da nessuna direzione.
Come si diceva, non pretendiamo l'universalità. Ben vengano altre visioni e altri percorsi. Non si tratta di rifiutare nessunə, ma di scegliere alcuni criteri sostenibili per il progetto. Chi si fida di noi sa che per qualsiasi necessità proviamo a individuare soluzioni.
Inoltre come collettivo riteniamo di avere anche noi diritto ai nostri spazi di autonomia. In una situazione come questa non c'è molta possibilità di mediazione per noi: o tuttə partecipano con la webcam, oppure no. L'ipotesi che ognunə faccia come si sente non è un compromesso che possiamo accettare. Abbiamo il bisogno di vederci in faccia, di confrontarci umanamente, oltre la tastiera e l'icona di un avatar.
Ci vediamo stasera con chi ci sarà
Il collettivo Bida
⚠ AGGIORNAMENTO: qua sotto il testo non più reperibile qui
L’ISTANZA È DI CHI L’ABITA
Considerazioni a seguito del bilancio sui 3 anni dell’istanza mastodon.bida.im redatto dal collettivo di gestione (lo trovate qui) e della proto assemblea del 9/04 sul Jitsi di Bida.
Cara fauna più o meno umana che popola l’istanza Bida e il fediverso in genere, chi scrive è una bestia a tre teste che ha vari account su Bida, alcuni sin dagli albori, e lasciati pressoché inattivi.
Dopo un lungo anno di pandemia, il conseguente aumento della permanenza online, e a seguito di quelli che sembrano primi passi per uscire dalle sabbie mobili, abbiamo deciso di intraprendere la strada del “commentarius” ragionato per tentare di dare un contributo pubblico e più strutturato possibile, fuori dall’ipertrofia di toot, stelline e boost.
Vorremmo concentrare maggiormente le nostre osservazioni su due punti: carattere locale/globale dell’istanza e autogestione.
UN’ISTANZA GLOCALE?
Al servizio dei movimenti bolognesi?
L’istanza social di Bida nasce con l’auspicio di «attecchire» tra i movimenti e le realtà bolognesi. Questo non è avvenuto, come viene riconosciuto nel paragrafo del bilancio “Cosa è successo davvero”.
Il collettivo Bida rinnova la “preoccupazione” fondativa e caratterizzante dell’istanza riguardo le «ancora tante, troppe persone che si affidano esclusivamente a social network commerciali per portare avanti le loro rivendicazioni, e in generale il capitalismo della sorveglianza. continua a imperare in contesti politici che fanno dell’anticapitalismo una delle loro bandiere».
I motivi del mancato raggiungimento di uno dei principali obiettivi iniziali andrebbero ricercati assieme con più attenzione in assemblea.
Account attivi dimezzati
Aiuterebbe leggere lo storico degli account totali (ricordando che gli account non sono persone) e di quelli “attivi”, cioè con almeno un accesso settimanale. Gli account “attivi” si sono dimezzati in un anno, passando da 1800 (inizio maggio 2020, media a 30 giorni) a 900 (metà aprile 2021, media a 30 giorni). Sarebbe un dato in controtendenza rispetto all’aumento diffuso dell’uso dei social network a causa della pandemia.
Questo dato si potrebbe prestare a varie interpretazioni. Non c’è stato un pari aumento di interazioni sulle istanze sorelle Nebbia Fail (50 accessi settimanali), Mastodon Cisti (100 accessi settimanali) o Stereodon Social (100 accessi settimanali) né nuove istanze antagoniste italofone sono state create. Ci sentiamo di escludere migrazioni verso altre istanze federate.
Questi dati sono liberamente accessibili su ogni pagina principale d’istanza: dominioistanza.org/about
Una timeline bolognese?
Una persona che approda su Mastodon troverà in Bida l’istanza italofona antagonista tra le più grandi del fediverso, cioè quello che ad oggi è diventata, anche facendo la tara ai numeri: venti volte Mastodon Cisti (la seconda per numero di account), l’unica che appare nel portale ufficiale e nella comunicazione di massa.
Servono strategie di comunicazione plurali e coordinate fra le varie istanze. All’aumentare degli account aumentano i toot, rendendo la timeline locale di Mastodon Bida più “vivace” delle altre istanze antagoniste.
La timeline locale di Mastodon Bida non ha mai dato l’impressione di avere un carattere locale.
Il carattere locale si perde ulteriormente se questa è riempita di newsbot e spambot non strettamente locali: una cosa è il Berneri, Zapruder, Zeroincondott* o “le mirabolanti avventure di Lepore assessore alla fantasia”, altra è newsbot di organizzazioni italiane-internazionali o lo spam generico.
Potremmo pensare a un’istanza newsbot/spambot italofona a parte e gestita dalle istanze antagoniste.
Timeline condivisa?
Per superare il problema dell’accumulazione di toot nella timeline di un’unica istanza, potremmo puntare sulla condivisione delle timeline locali in aggiunta alla timeline strettamente locale. Una sorta di timeline “subversiva”.
Ci sono varie possibilità tecniche: per quanto ne sappiamo il collettivo Bida ci sta lavorando, mentre Todon è riuscita a condividere due timeline (di todon.nl e di todon.eu, ma non sappiamo se in sostituzione della timeline unica).
Forse avrebbe avuto senso tenere un’istanza a invito, oppure a richiesta da esaminare come per policy di todon.eu, qualora si avesse voluto renderla uno strumento delle realtà che insistono su un territorio. Se l’istanza è aperta alle iscrizioni di chiunque, gioco-forza che la località si perda.
Account attivi oltre Bologna
Per chi non è al momento in una città che ha la sua istanza, il carattere globale di Bida è un valore aggiunto. Mentre l’“attecchimento” tra i movimenti bolognesi non funzionava, sull’istanza sono arrivate persone da ogni parte del mondo, e non solo italofone.
L’istanza sarebbe potuta essere locale per provenienza, ma le “cose” discusse anche solo da bolognesə hanno quasi sempre avuto una dimensione globale e chi non era di Bologna vi ha contribuito, senza farsi remore se quello che stava facendo fosse o no a vantaggio dell’antagonismo bolognese: l’ha fatto perché lo riteneva dovuto, in un momento di risacca dove ci si dà una mano ovunque si possa.
Aiutiamoli a istanza loro?
Siamo convinte che la proliferazione di istanze a livello locale sia un orizzonte verso il quale dirigere gli sforzi.
A tal proposito la possibilità di workshop che servano a diffondere le competenze tecniche è sicuramente preziosa.
Allo stesso tempo pensiamo però che, se la realtà locale non esiste, non abbia molto senso un percorso che sa un po’ di “aiutiamoli a istanza loro”: se “non si ha un territorio” saranno micro istanze o personali?
1 utente = 1 istanza ha senso?
Vorremmo scardinare il paradigma urbanocentrico per il quale la partecipazione politica è possibile solo in grandi centri urbani, con la banda larga, informatica sviluppata, università e realtà antagoniste già strutturate.
“Mettere avanti nella discussione il prendere coscienza dei propri posizionamenti nella società” dovrebbe essere un punto fermo anche nell’autorganizzazione fra istanze, fra abitanti del fediverso in genere, invece di abbandonarsi all’improvvisazione.
Online e offline
Cogliamo l’opportunità di affrontare comunque certe tematiche anche se non ci si può incontrare: la vita offline è la sola vita vera? e quella online è finta?
Durante una pandemia che ci ha tolto ogni spazio lasciando briciole di socialità solo se si hanno parenti nello stesso comune, questa distinzione tra online e offline ha ancora lo stesso peso?
E chi da sempre fa una vita migrante?
Chiariamo ancora: una delle teste che scrive, approfittando di un buco nei blocchi tra regioni, ha messo a disposizione casa sua per un incontro informale aperto a chiunque volesse partecipare, prima di averne mai visto le facce.
L’aspirazione a uscire dal solo virtuale per diventare verə e creare spazi reali di condivisione se non anche di resistenza è sempre presente, e deve esserlo.
Ma non possiamo fingere di non essere in un momento storico che lo rende estremamente difficile, e che, come dicevamo, per persone che non vivono in grandi centri, gli spazi anche solo virtuali rappresentano comunque una risorsa preziosa.
Quale ruolo per autogestione.social?
Se gli assembramenti tipo “AFA” sono percorsi paralleli alle libere autodeterminazioni di singol* abitanti e istanze, e che non si sostituiscono alle assemblee di gestione, a cosa potrebbe servire https://autogestione.social?
Alcun_ del collettivo Bida interpretano https://autogestione.social come uno spazio di discussione dedicato ai collettivi di gestione delle singole istanze. Chi non è nei collettivi è fuori, ma se sei amministratore unico di un’istanza ritenuta “autogestita” sei dentro.
Serve una proposta di autorganizzazione per https://autogestione.social, in cui chi abita le istanze partecipi o con gli interessi di ciascuna singola istanza di provenienza – cioè su “mandato” della propria assemblea di gestione – oppure convocando congiuntamente le assemblee di gestione e ragionando come abitanti del fediverso.
Ciascuna assemblea di gestione delle istanze autogestite si dovrebbe porre esplicitamente questa domanda.
Non possiamo fondere in un’unica matrice le comunità e le individualità che si sono insediate su ciascuna istanza, costringendole a condividere i progetti di un gruppo di gestione senza possibilità di autoconvocare un’assemblea.
Questo non solo sarebbe quanto di più lontano dall’autogestione, ma sarebbe anche a detrimento dei progetti del gruppo di gestione di presentare la relativa istanza come una possibile piattaforma per i movimenti.
SI FA PRESTO A DIRE AUTOGESTIONE
Fin dalle nostre prime interazioni sull’istanza, abbiamo seguito la stella polare contenuta nel “Manifesto del gruppo di gestione del Nodo Mastodon Bida.im”: «il coinvolgimento di tutt* i/le compagn* anche nella gestione di una infrastruttura informatica […] di cui siamo in controllo e il cui funzionamento possiamo decidere collettivamente».
Il nostro percorso lo testimonia, e questo testo non ne è che una tappa.
Utenti o abitanti?
Quando il collettivo di gestione parla di autogestione nei comunicati di lancio e seguenti, intende autogestione del server o autogestione dell’istanza? Perché nel primo caso chi non è nel collettivo è solo utente e quindi “chiede di interagire” ed usa un servizio, nel secondo caso chi non è nel collettivo ha lo stesso peso (non le stesse chiavi tecniche) ed è responsabile di uno spazio che è anche suo.
La questione “interagire” è impressa nelle nostre teste perché abbiamo in mente Facebook o Twitter.
Per chi non usa social è inconcepibile in un contesto autogestito che le admin diano la direzione politica all’istanza.
Questo avviene se non c’è un modo chiaro e trasparente in cui le abitantə possano incidere sull’indirizzo politico, proponendo assemblee che possano, nel caso, intervenire sia su policy e manifesto, che su tutti gli aspetti che concernono la vita sull’istanza, inclusa la revoca dei ruoli di singol_ admin.
Assemblea
La richiesta di maggiore partecipazione (trasparenza inclusa), intesa come inclusività e coinvolgimento degli abitanti dell’istanza, andrebbe forse guardata sotto una luce diversa: senza frequenti assemblee di gestione il collettivo assume un ruolo più che gestionale, come è di fatto accaduto nell’ultimo anno dato che non c’è stata assemblea di istanza dal febbraio 2020.
Ruolo gestionale che l’assemblea di gestione gli “af-fida”, ma non è una fiducia in bianco: senza frequenti assemblee e contrappesi, questa assunzione di ruolo avrebbe sempre di più i contorni di una delega, non voluta, che nei fatti ostacolerebbe l’autodeterminazione dell’assemblea.
Non aver previsto meccanismi di autoconvocazione per l’assemblea fa sì che sia il collettivo a doverla indire, e se non lo fa su richiesta degli abitanti ciò può diventare un anestetizzare il conflitto, che però non sfuma, al contrario si cristallizza e costringe chi è fuori dal collettivo a frantumare questa cristallizzazione.
Assembleae
Le proposte di assembleae poi sfociata negli assembramenti su Mumble aperti a chiunque e che venerdì 16/04/21 hanno visto il 4° incontro, sono state proprio questo: la forma presa dalla volontà di frantumare le barriere che non hanno permesso di arrivare ad un confronto necessario.
Queste teste che scrivono sono fra quelle che iniziarono a chiedere che un’assemblea di istanza di Bida venisse fatta già nella primavera 2020 con comunicazioni sia sulla mailing list socialbida che sull’istanza https://mastodon.bida.im.
Comunicazioni che non trovarono riscontro.
A quel punto, abbiamo deciso di occupare quello spazio che «ci è sfuggito [e] che non abbiamo ancora elaborato [t]ra scelte individuali e decisioni collettive» (qui, vedi anche paragrafo “Non solo trolling”).
Canali di comunicazione ufficiali
Il semplice aprire a una scrittura più partecipata dei comunicati SENZA chiamare l’assemblea non risolve il problema a monte.
Il fatto che i contributi di chi ha usato la mailing list o i pad siano stati letti sembra più una prassi da customer service. (“ascoltare i propri utenti”, cit.)
Ricordiamo che la possibilità di assemblea in remoto è prevista in policy in due punti: «assemblee periodiche su irc» e «assemblea virtuale permanente” :D».
Se il canale IRC è rimasto come punto copiato per errore dalla policy di Indymedia, l’assemblea permanente si riferisce alla mailing list pensata come spazio dell’assemblea di gestione che “traghettasse” l’istanza fra un’assemblea in carne e un’altra.
Questo non è successo.
Abbiamo provato a praticare la lista [Socialbida] come «”assemblea virtuale permanente” :D» (esatta cit. policy) quando ancora questa strada era teoricamente percorribile e ancora da esplorare.
Abbiamo verificato che questo strumento non fosse tenuto in considerazione per una consuetudine non solo del collettivo di gestione, ma dell’intera istanza. A tal proposito forse la proposta di avere un toot #avviso di @admin che informi l’istanza dell’esistenza della mailing list dovrebbe essere accolta.
Abbiamo anche esplorato possibilità di autoconvocazione dell’assemblea di gestione, andate a vuoto nel silenzio del collettivo.
Non rimane che il collettivo chiami l’assemblea d’istanza nei tempi e nei modi riconosciuti.
La mancanza di riscontro seguendo i canali ufficiali portò noi, ed altre, a tentare comunque un percorso che aveva, ed ha, lo scopo primario di migliorare la vita e la comunicazione sull’istanza stessa.
Percorso mosso dalla semplice volontà di parlarne comunque, sull’istanza/e, nelle mailing list, agli incontri su mumble e persino nel nuovo videocitofono messo a disposizione dal collettivo Bida.
Lo strumento
Perché non ci basta parlarne su mastodon?
Sia perché ci è stato fatto notare che si rischia di mostrare sull’istanza solo le negatività che vediamo, sia perché mastodon non è adatto alle discussioni, non è facile seguirle dato che basta un lucchetto o blocco per perderne pezzi, e non è facile intercettarle perché non esiste una vera possibilità di ricerca.
Il caos informativo dei subtoot/subboost è escludente perché non permette di seguire una discussione contorta se non impegnando la propria saccoccia di privilegio (tempo a disposizione, capacità tecnica, …) nel ritrovarne il flusso e ripercorrerne le diramazioni.
Usare altri strumenti e luoghi virtuali non può esser visto come deleterio, quanto piuttosto un tentativo di non subire le dinamiche che lo strumento mastodon impone, ma usare gli strumenti che vogliamo/abbiamo/sperimentiamo per influire sulle dinamiche delle possibili, probabili, auspicabili comunità oltre lo strumento.
Stiamo facendo una cosa sperimentale in un momento inedito. Se questo non ci convince, basterebbero a rasserenarci le implicazioni politiche delle gerarchie tecniche fra noi: un collettivo di gestione ha in mano le chiavi della baracca e può premere il tasto “eject” in qualsiasi momento se ha motivi fondati di credere in una compromissione del progetto. La “fiducia” utenza-amministrazione sta anche in questo.
Delegittimazione
Finché non viene premuto il tasto eject ogni abitante ha il diritto di contribuire al discorso pubblico d’istanza.
Tuttavia, quando è stato fatto, ci si è sentite chiedere una sorta di pédigrée rivoluzionario. Abbiamo sentito una sorta di pressione a dimostrare cosa si è fatto altrove. Ci siamo sentite delegittimate, le nostre parole sono state declassate a marginali facendo leva sul numero di boost/stelline/interazioni che avevano generato, paragonate agli “apprezzamenti” ricevuti da posizioni critiche rispetto alle nostre.
Ma allora la gamification ci piace? Non va bene per pompare l’ego sulle foto di gattini ma la usiamo per delegittimare il discorso politico altrui? Sventoliamo followers e interazioni strumentalmente al discorso che vogliamo venga selezionato all’attenzione dell’istanza? Non è autogestione: è una “social/democrazia” con meno garanzie perfino del voto borghese.
Non solo trolling
Perché si iniziò a chiedere di assemblearsi?
Non per un problema di trolling, ma perché sempre più persone avevano lamentato malessere causato da dinamiche su istanza/e.
Non nutrire il troll è pratica sempre valida, ma il problema non era, e non è, la semplice gestione del troll, il problema era, ed è, che si crea sull’istanza, in momenti e circostanze diverse, un clima che fa star male le persone, e lo abbiamo visto succedere.
Se succede bisogna far qualcosa, se vogliamo essere abitanti solidali. Fregarcene, perché magari siamo fortunati ed impermeabili, è da stronzə.
Se non lo avete visto succedere, forse non ci avete prestato abbastanza attenzione, forse eravate presə da altro.
A più riprese è stato fatto notare che certe dinamiche non sono nate con i social, ma sono dinamiche tipiche delle interazioni umane, che i social rendono “solo” più gonfiate, quindi non ci si può fare niente.
Diciamolo, i social sono una merda. Gamification, FOMO, pornografia emotiva e voyerismo, egocentrismo, Comunicazione Merdata da Computer, equivoci, problemi di privacy: questi problemi li hanno tutti, nessun social si salva.
O, forse, eliminare la visibilità di numero di followers, boost e stelline potrebbe aiutare ad uscire da alcune delle dinamiche dello strumento?
Chiariamo che la richiesta di non impiegare troppe energie sui temi negativi, per averne da dedicare alle cose positive, ci trova d’accordo. Ci si occupa di cose brutte solo se necessario, per difendere le cose belle.
Se invece si intende una sorta di “non è bene parlare di certe cose” allora non siamo d’accordo.
Recepiamo male gli inviti a non parlare del problema delle relazioni in istanza: sono per noi la base sulla quale costruire alternative anche nella vita offline.
Soluzioni individuali o collettive?
Siamo qui, su un’istanza che prova a fare un social “altro” e a combattere il capitalismo.
E finché stiamo qui vogliamo provare a fare qualcosa. “Non c’è niente da fare” non esiste.
Il “far qualcosa” che intendiamo per mantenere un clima di aiuto (anziché di disagio) in istanza non va appiattito e liquidato con semplificazioni come “combattere i troll”.
Non va neppure ridotto alla sola posizione “difensiva”, il sistema di block/mute che ognuna può usare per mantenere lo spazio che frequenta adatto alle proprie esigenze è un sistema applicabile solo individualmente.
Abbiamo visto casi in cui “il troll” era stato bloccato da molte, ma non da tutte, e chi si è ritrovatə ad esser trollatə ha vissuto una spiacevole sensazione di isolamento.
Per questo la spinta verso il concetto di “autoformazione relazionale” è sempre stata presente nelle intenzioni di chi scrive, e di chi ha portato avanti le discussioni che hanno preso forma in vari canali, da matrix alla mailing list fediverso fino agli assembramenti interistanza ospitati sul server Mumble farma.cisti.
“Catastrofe climatica”?
Ci siamo sentite accusare di peggiorare il clima sull’istanza per il voler parlare di certe cose. Come se sottolineare le criticità fosse un modo per impedire la fruizione tranquilla e rilassata del servizio offerto.
Cercare il confronto, anche il conflitto, irrita ma postare meme no? Ne vogliamo prendere atto e dare per scontato che non ci sia un modo diverso?
Il problema politico non è mai stato che la progettualità di un collettivo di gestione potesse eccedere quella dell’istanza, il problema – per il collettivo di gestione – è stato quello speculare: che le varie progettualità di chi frequenta le istanze, con forme e metodi criticabilissimi, potessero eccedere quella di un collettivo di gestione, che siano nello stesso verso o meno.
Se una persona ultima arrivata con un account creato da poco ha meno peso – a prescindere da quello che viene sostenuto – rispetto a chi vanta decenni di militanza o migliaia di seguaci abbiamo perso in partenza. Questo è un peso che abbiamo avvertito, di nuovo.
È stato chiesto il curriculum politico a chi sostenesse certe posizioni (“a te chi ti ha mai visto?!”), si è andato a scavare nei «trascorsi» (cit.), quei trascorsi sono stati esposti sulla pubblica piazza al solo fine di distorcerli e minare la credibilità della persona dietro l’account.
Conflitto o panni sporchi?
Forse questo scritto sembrerà una sorta di lunga recriminazione su eventi passati, ma siamo convinte che i primi passi per uscire dalle sabbie mobili possano essere meno traballanti se diamo una forma comprensibile alle sabbie mobili.
Aver scoperto, da abitanti dell’istanza impegnatə nel tentare modi e strade per affrontare problemi e conflitti, che gli assembramenti sono stati tra i punti che hanno portato al conflitto tra membri del collettivo (tanto da portare alcuni ad allontanarsene!), è stato surreale.
Mentre sull’istanza ci veniva fatto notare, con appunti sul numero di interazioni ricevute, che erano tentativi destinati al fallimento o già «naufragati», all’interno del collettivo se ne discuteva animatamente.
Beh, non crediamo fossero panni sporchi da lavare in seno al collettivo, ma argomenti da portare a conoscenza di chi sull’istanza ci vive.
Il fatto che l’attuale composizione del collettivo, cambiata subito prima della redazione del bilancio, mostri un’attenzione e interesse per il percorso che @AFA cerca di portare avanti, tanto da spingere alla partecipazione, non basta, non c’è bisogno di una sorta di approvazione del percorso, c’è bisogno che lə abitanti siano liberə di autodeterminarsi, di autogestirsi.
P.S.: METTIAMO A FUOCO GLI OBIETTIVI
Una postilla sulle assemblee in video.
Quale inclusione da remoto
Se l’istanza è di fatto non locale la previsione di assemblee da remoto può essere strumento di inclusione. Se la webcam diventa un punto fermo escludi persone, come in fisica per chi non può muoversi. La differenza è che solo un’assemblea crossmediale (sia da vicino che da remoto) può accorciare le distanze per chi non può muoversi, con la necessità di superare l’assemblea in fisica.
Quale esclusione con webcam
Al di là dei problemi tecnici di connessioni ballerine e dati insufficienti, le ragioni di spegnere la webcam sono molteplici. Possono essere private, politiche, culturali… Si costringono compagnə a fare i conti con le proprie inquietudini, come peraltro è successo nella scorsa assemblea. L’opt-out del «Se ci sono criticità particolari possiamo discuterle caso per caso» è una beffa per quelle persone che non partecipano a causa di questo prerequisito.
Il passo in più va fatto altrove
È sembrato paradossale che fra cura della privacy, descrizioni a immagini per ipovedenti e content warning da contatto visivo, ci siamo sentitə obbligatə a scoprirci come prerequisito alla partecipazione.
Quale autogestione fra pari sarebbe?
La pressione sociale nell’accendere la webcam è un modo approssimato per orientarsi fra abitanti di un’istanza che di fatto il collettivo di gestione non conosce.
Siamo consce che i movimenti sono bersaglio di infiltrazioni, anche molto critiche.
Inoltre la facilità di accesso da remoto porta con sé una maggiore permeabilità ad elementi di disturbo.
Piuttosto, il necessario passo in più per riconoscersi a vicenda in un percorso politico va fatto altrove, ricercando affinità su iniziative e temi specifici. Questo passo non può limitarsi né esser ricondotto ad un banale vedersi in faccia.
Quale modello di relazioni
Abbiamo da sempre praticato un modello alternativo, di pari abitanti d’istanza che si riconoscono vicendevolmente nella cura degli spazi che attraversano. In questo riconoscersi si potrà coltivare una fiducia anche di sguardi (per chi può/vuole/se la sente), ma dando tempo alle relazioni di maturare in mutuo consenso e non rinchiuderci nella performance da videochiamata.
Senza webcam si può
Senza webcam abbiamo piantato semi ovunque, scritto libri insieme, contro(in)formato, imparato tantissimo, intralciato fascisti e simili, autofinanziato l’istanza. Ci siamo supportat* a vicenda nei momenti giù come possibile, nelle difficoltà abbiamo espresso e ricevuto solidarietà anche economica.
La scorsa assemblea di Mastodon Bida è stata la prima volta nel vedersi, un elemento estraneo alle relazioni che abbiamo coltivato, e che, di fatto, è stato imposto come prerequisito alla partecipazione.