sorvegliare punire 4.0: ragioni
Sorvegliare e Punire 4.0: ragioni
(pubblicato per la prima volta il 12 febbraio 2019 e riproposto qui.)
Mondo, 17 marzo 2018. Scoppia il caso Cambridge Analytica, definita un “arsenale di armi per la guerra culturale”, [0] società che profilava e analizzava i dati di 87 milioni di utenti (più della popolazione nello Stivale) per condizionare le elezioni politiche quali ad esempio la campagna presidenziale di Donald Trump e l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (Brexit). Francia, 16 ottobre 2018. Le forze dell’ordine irrompono a casa di Jean-Luc Mélénchon, fondatore de La France Insoumise, e in varie sedi della stessa e del Parti de Gauche. Sequestrati telefoni e computer anche della segretario generale di LFI Clémence Guetté, di diversi collaboratori e assistenti parlamentari. Tutte le informazioni non criptate (password, messaggi, documenti sensibili) sono in mano a guardie e magistrati. [1] Italia, 1 dicembre 2018. Entra in vigore il DL 113/2018 [2][3] che, tra le varie, introduce la possibilità di intercettazioni anche telematiche nel caso di occupazioni di terreni o edifici ad opera di più di cinque persone. Non è inverosimile che molti di noi siano intercettati perché indagati o hanno contatti telematici di qualsiasi tipo con indagati. [4]
Diceva un compagno che quello che è successo sulla catena di montaggio in un secolo, in ambito informatico è accaduto in 10 anni. In modo inconsapevole, ogni giorno diamo in pasto le nostre innumerevoli tracce a questi satrapi elettronici, gli occhi e le orecchie dell'industria 4.0 (Google, Facebook, Amazon, etc.), ciò che sulla Terra più si avvicina al concetto di “divinità onniscienti”. Non si tratta solo dei nostri computer o dei nostri telefoni, ma anche di quelli altrui e di strumenti molto al di sopra delle possibilità del singolo, in mano a governi, servizi segreti o multinazionali. Volti, voci, pensieri, impronte, spostamenti, relazioni, anagrafiche e documenti... Tutto contribuisce a una schedatura quanto più vicina alla corrispondenza persona-dati (e metadati) che lasciamo in giro.
Potremmo prenderci il lusso di non farci domande solo se fossimo persone a cui tutto sommato va bene sguazzare in questo sistema, col feticcio della legalità, con un disciplinamento psicologico (e politico) che rasenta l’obbedienza cadaverica all’ordine costituito. Poiché questo non siamo, anche la più piccola mela rubata per fame deve impegnarci a cogliere questo frutto della conoscenza informatica, saldamente in mano ai padroni. Bisogna fare un ragionamento insieme su come opporci a questa “Repressione 4.0”. Contro di noi si può scatenare la repressione più precisa e scientifica possibile, una repressione artificiale ma intelligente, costruita a misura di noi stessi perché impara da come noi stessi siamo in base alle tracce che lasciamo. Stiamo continuamente allenando il predatore perfetto contro noi stessi, il nostro doppelgänger.
Esistono delle avanguardie informatiche che tentano di opporsi a questo sistema e hanno messo a punto strumenti di difesa per fronteggiarlo; è però noto che hanno comunque difficoltà a rendere popolari questi strumenti, a fare in modo che anche la compagna o il compagno meno avvezzi alla tecnologia abbiano almeno piccoli spazi di agibilità politica. L’accesso agli strumenti di difesa è possibile oggi solo a chi ha una formazione accademica o una spigliatezza fuori dal comune, ma anche queste compagne e questi compagni sono vulnerabili. In un mondo di “uomini di vetro” che “non hanno nulla da nascondere” [5] si vede subito quando una persona prova a nascondere qualcosa, per necessità o per volontà, di fatto autodenunciandosi. È fondamentale ricorrere – in maniera strutturale, a livello di organizzazione – al “mutualismo informatico”, avvicinandoci in maniera interessata ma critica a questi strumenti, in modo da saperne discernere pro e contro, prima di tutto per difendersi ma anche in futuro per attaccare.
Quando il capitalismo era ancora in fase espansiva e lo stato borghese-sociale distribuiva una piccola quota dei profitti per tenerci a bada, la repressione era proporzionata al livello di conflitto nella società. Oggi, dove agli sfruttati e agli oppressi non arrivano nemmeno le briciole, non c’è più proporzione che tenga. La tutela dell’“innocente fino a prova contraria” in realtà vale solo per le accuse di peculato, falso in bilancio, malversazione... ma non vale per la delinquenza proletaria o sottoproletaria. Anche per le azioni politiche dei compagni scompare il garantismo: si tratta di più di 15.000 denunce e di 800 arresti fra gli attivisti politici dal 2011 a metà 2017. [6] Stiamo perdendo per strada persone, energie, soldi. Finisce in carcere la meglio gioventù e settori politicizzabili del blocco sociale. Per noi, nemmeno le dimostrazioni nelle aule dei tribunali sono garantite. Nemmeno più i capi d’accusa sono formulati, ma semplici suggestioni diventano facilmente disposizioni extra-processo: fine repressione mai. [7] Questo è capitato per esempio a ex-combattenti YPG/YPJ per cui la procura di Torino richiede la sorveglianza speciale. [8] Vi svelerò un segreto di Pulcinella: esistono già le tecnologie al computer per creare castelli accusatori più solidi e personalizzarli su larga scala.
Non è possibile che la generosità dei compagni sia ripagata senza uno straccio di tutela e senza educarli all’autotutela, che siano mandati al macello, subendo la repressione alle manifestazioni o nei luoghi di lavoro, alla mercé delle guardie, della postale, dei giudici e dei secondini, dei media. L’apparato repressivo va rifiutato in blocco e all’occasione bisogna imparare a diventare “anguille” [9] per sfuggire alle sue reti. [nota 26/02/2020: altro che sardine!] Per questo, bisogna incaricarsi anche della controformazione capillare sugli strumenti di difesa – che siano essi fisici o virtuali, legali o mediatici – al fine di raggiungere una sovranità politica, artefici davvero del nostro avvenire. [...]