Adriano Maini

adrianomaini

Da Saluzzo a Fontane

Tra le carte di famiglia ho di recente trovato una fotografia di un gruppo di persone davanti al Monumento ai Caduti della Grande Guerra di Cuneo, là in trasferta nel 1931 da Alassio, fotografia inviata da un partecipante con tutta probabilità a mio nonno materno.

Cuneo, per noi della Riviera dei Fiori, si può dire molto vicina, sì da sembrare banale diffondersi su memorie personali.

Rinvengo anche una cartolina, da me spedita all’epoca a qualche mio caro, dunque risalente a metà anni ’70, della vicina Boves. Da Wikipedia: “La città di Boves è tra le istituzioni decorate al valor militare per la guerra di Liberazione insignita il 22 luglio 1963 della medaglia d’oro al valor militare e il 16 gennaio 1961 della medaglia d’oro al merito civile per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale“.

Anche da Boves, non solo da Limone Piemonte, rigorosamente di settembre – prima non avrei potuto fare ferie (ed allora le potevo ancora usufruire non spezzate!) –, sono partito per girovagare per valli, borghi e case isolate, non escluse rapide puntate da amici a Torino. E mi sovviene un certo viaggio in autostop, compiuto ai primi di agosto del 1968, iniziato proprio attraverso località di cui qui sto dicendo!

Uno dei miei primi sconfinamenti nel Cuneese avvenne con una gita scolastica ai tempi delle medie inferiori, quindi, nei primi anni 1960, quando si arrivò sino a Saluzzo per ricalcare qualche orma di Silvio Pellico.

Non vale, certo, il concetto di prossimità per tutte le località della Provincia Granda.

Non ho mai viaggiato molto, per lungo tempo perché bloccato dagli impegni professionali. Oggi mi muovo poco, soprattutto perché miro a soddisfare la mia congenita pigrizia.

Rivedere e ripensare anche ad un passato non lontano geograficamente, come quello rappresentato da località della provincia di Cuneo, mi aiuta a misurare non solo spezzoni di vita, ma anche tanti aspetti di vita sociale e del costume.

Sono tanti ormai, ad esempio, abitanti di quelle zone ad avere casa, in genere seconda casa, su questo lembo occidentale di Liguria. Io stesso sono stato in affitto da persona di Boves, con la quale si finì per diventare amici. E fu emozionante ritrovarsi senza preavviso ad almeno una manifestazione di Partigiani.

Per associazione di idee di Fontane, Frazione di Frabosa Soprana (CN), per via di una ricorrenza, effettuata il 21 ottobre 2013, della guerra partigiana di Liberazione, il cui rilievo morale, civile, storico ritengo fuori discussione, ho un ricordo molto intenso, non solo per il valore morale e storico dell’avvenimento, ma anche per il ritrovarmi tra tante care persone. Un appuntamento preparato con cura e dedizione dall’amico Dantilio Bruno, tuttora Presidente della Sezione A.N.P.I. di Ventimiglia (IM), nato in quei pressi, come racconta in alcuni suoi libri (ed almeno la prefazione di uno di questi l'ho pubblicata anch'io).

Anche quelle volte di Cosio d’Arroscia, ancora in provincia di Imperia, ma in prossimità della parte centro-meridionale della Granda e, quindi, di Frabosa Soprana, volte connotate da quei miei qui preannunciati brevi soggiorni, comportarono, più per le visite che spesso ci venivano fatte che per altro, rapide escursioni ad Ormea, Garessio. Mondovì…

Per non dire della linea ferroviaria Ventimiglia-Cuneo, ripristinata nel 1979, di cui alcuni dei ponti distrutti dai nazisti alla fine della guerra vidi già da bambino.

Forse avrei ancora tanti singoli aspetti, legati in qualche modo a quella provincia, da illustrare prima o poi...

Quando io e Diego a Roma...

Mi torna in mente all'improvviso una mia presenza con Diego a Roma. Era stato per una manifestazione, di cui avevamo anche qualche immagine di gruppo che – tanto per cambiare! – non sono riuscito a rintracciare. C'era anche Alfredo Moreschi, il cui solo pensiero mi indurrebbe ad aprire altre parentesi e, magari, in tema di cortei riprendere a parlare di Milano. Il fatto é che, tornando a quella giornata di ottobre del 1991 – credo! – da cui sono partito, siccome la nostra comitiva andò a mangiare in un posto più o meno a sinistra nell'ultimo scatto, qualche mio fugace commento sui monumenti mi fece guadagnare dal salace, appunto, Alfredo, per la prima volta – come negli anni successivi da parte di altri colleghi, ma, ahimé per loro, in tono serio e convinto! – l'epiteto di... esperto di storia e di arte romane. Ma, forse, se ci ripenso, anche Alfredo non scherzava. Con grande soddisfazione, comunque, di Diego, sempre sensibile alle botte di vita. Perché Diego, di cui mi riprometto di dire di più e di citare, soprattutto se pesco fotografie adeguate, altre similari esperienze condotte insieme, a margine di impegni ufficiali, anche in Costa Azzurra, é la simpatia fatta persona. Poi la memoria difetta a entrambi, per cui, ad esempio, ricordiamo perfettamente di avere assistito circa trent'anni fa in un'afosa notte estiva all'aperto di un bar di Trastevere ad un colorito dialogo, quasi degno di Petrolini, tra tre simpatici emuli di Rugantino, ma non sappiamo oggi riportarne nemmeno mezza battuta. Per non dire delle gentili persone che, casualmente incontrate ad un convegno, invitarono me e Diego ad una simpatica cena all'aperto dalle parti del Gianicolo, nel corso della quale capitò di parlare di personaggi, della nostra provincia o che erano usi a passare qualche vacanza qui da noi in Riviera.

Cabane

Si passava più o meno davanti ad una vecchia casa in pietra per andare da S., un bambino della mia età. Non molto lontando da dove abitava il ramo materno della mia famiglia, come ho già raccontato. A Bordighera (IM), certo. Se d'estate stavo da lei, la nonna, che là per qualche anno (ed ecco forse spiegata la lunga “latitanza” di cui in seguito a questo post) andava a cucire, mi ci portava nella zona richiamata, dove i genitori del mio amico gestivano un'azienda floricola. Ed i fiori, sessant'anni fa, venivano ancora coltivati alla grande dalle nostre parti.

Una cosa singolare, che mi era già capitata poco tempo prima con una cara compagna di scuola delle elementari, é che passarono decenni prima che ci si ritrovasse. E, come nell'altro caso, non sono stato io a riconoscere l'interlocutore, ma il contrario.

Eravamo stati, per così dire, paggetti nel gennaio 1956 al matrimonio di una mia zia materna. Ed ho penato alquanto a ritrovare la foto che documenta questo piccolo, grande avvenimento, ma alla fine ce l'ho fatta e gliel'ho mandata.

In quei lontani ed assolati pomeriggi era una grande avventura scorrazzare con S. in quella campagna. Oggi scomparsa, come sono scomparsi – come mi ha sottolineato in seguito suo cugino – due casolari di antica bellezza, per fare posto in terreni che quella famiglia aveva in affitto a nuove costruzioni.

Un aspetto di cui mi ricordo ora all'improvviso e che mi intrigava molto era contribuire, spostando piccoli arnesi di chiusura, al passaggio dell'acqua irrigua nelle canalette di derivazione al servizio della parte orticola della struttura. E intanto mangiare, crude, gustosissime (allora!) carote novelle!

L'acqua, certo. Il primo aneddoto che ho inteso sottolineare a S. – e lui non se lo ricordava – quando ci siamo rivisti concerne quella volta che ci avventurammo – nessuno dei due sapeva ancora nuotare! – nella grande vasca di raccolta dell'acqua piovana: anche per trovare frescura, ma soprattutto per compiere un'azione proibita, tanto é vero che la nostra prodezza venne individuata e redarguita in seguito al rinvenimento delle nostre mutande bagnate.

Da S. sentii in quei tempi suonare per la seconda volta in vita mia dei dischi, in questo caso a 78 giri, e mi imbattei nel marchio del cane davanti ad un grammofono. Giocai in prima assoluta a Monopoli, il cui esemplare S. conserva ancora.

Singolare ancora che S., mentre io – ripeto – lo avevo perso di vista, negli anni abbia frequentato i miei fratelli...

Non ho perso, invece, il ricordo di com'era la zona qui citata. Là, alle Cabane!

Marsiglia, invece

All’epoca della mia escursione ad Aubagne, mi sono perso un’occasione preziosa per saperne di più su una “diversa” Marsiglia. In compagnia di una persona dal ragguardevole passato non prestai molta attenzione a quanto di carattere sociale e di costume mi stava dicendo, perché tutto teso a prepararmi e a fare domande, dal medesimo puntualmente ed elegantemente eluse, sui suoi trascorsi di protagonista della Resistenza, anche in Costa Azzurra.

Soprattutto per quanto riguarda La Canebière, la via più famosa di Marsiglia, nella quale volle a tutti i costi recarsi. A me La Canebière sinceramente non é piaciuta, non fosse altro per l’ininterrotto traffico veicolare che la soffoca, ma mi sono meglio reso conto in seguito che da lungo tempo é il salotto della città, nel quale si sono sviluppate un numero incredibile di vicende. E così, pescando a caso nella memoria delle mie letture, posso maldestramente citare gruppi di belle ragazze a passeggio per destare l’ammirazione maschile. In letteratura, invero, Marsiglia é stata teatro o riferimento di tante opere. Credo che Jean-Claude Izzo, dal quale penso di avere tratto le immagini femminili di cui poc’anzi, ne sia stato l’ultimo grande cantore. Avendone già scritto ed essendo abbastanza noto, mi limiterò a lodare in lui, scrittore di noir, il grande cuore cosmopolita.

E l’alberghetto di Marsiglia davanti al quale mi lasciarono, ormai nel cuore della notte, gli anfitrioni che mi avevano accompagnato ad Aubagne fu un po’ come un tocco finale di quella mia lontana “escursione”. A me sembra ancora adesso, per farla breve, tratto di peso da un qualche romanzo dove compare Maigret, con la differenza che io mi trovavo a Marsiglia e non a Parigi. Solita tappezzeria un po’ … trasandata, solito rubinetto che sgocciolava, solita persiana che cigolava al vento, solite voci di donne e uomini: queste cose, nonostante il … mal di testa [si da il caso che tra la guida spericolata di cui avevo detto in un altro post, un mangiare affrettato fatto non so più dove e qualche sorso di grappa (sì a me sembra ancora adesso grappa, mentre in Francia c’é dell’ottimo cognac che é un vero medicinale), servita in precedenza da una cameriera nel bar della “mamma dei legionari”, io da un po’ ormai, ad usare un eufemismo, avevo alquanto di emicrania] me le ricordo, così come mi ricordo di avere dormito ben poco.

Grande emozione mi viene data dalla vicenda della fondazione di Marsiglia ad opera dei Greci di Focea (partiti dall’Asia Minore) e, all’epoca di Alessandro Magno, dal cosiddetto periplo di Pitea, partito dal porto di questa città alla ricerca diretta di ambra e stagno verso ed oltre la Norvegia (l’ultima Thule degli antichi), costeggiando all’andata da occidente le isole britanniche, al ritorno l’attuale Germania. Perché si sa delle espansioni e degli empori degli antichi Massalioti verso l’odierna Spagna, ma anche, trascurando le lotte contro i Liguri, gli Etruschi ed altri popoli, della loro fondazione di Antibes, di Nizza, di Monaco, così vicine al nostro confine.

Mi sembra, tuttavia, doveroso una volta di più lasciare la completezza di informazioni di ordine storiografico a sedi più competenti.

Di o su Marsiglia, ancora. Il racconto dello zio materno (solo ora mi viene in mente che ha lavorato anche là) sulla rudezza, ad usare un eufemismo, della polizia (o gendarmeria) in un banale, banalissimo caso. Ancor prima l’amico di sempre Gianfranco Raimondo (seguitelo su Facebook e nei gruppi che lì ha creato! troverete altri episodi, suoi e di terzi, resi con grande vivacità!) che, in visita dalla zia e già allora appassionato delle due ruote, ne approfitta per salutare all’albergo la squadra italiana (era ancora l’epoca – il 1950, credo! – delle compagni nazionali) di ciclismo (Binda commissario tecnico, Bartali, Magni, ecc), per ritrovarsi illustrato nella foto di gruppo all’uopo pubblicata su famoso quotidiano sportivo come povero bambino italiano emigrato! Più indietro nel tempo la fuga da Marsiglia intorno all’8 settembre 1943 quale fante dell’Armata italiana prima occupante, in quel momento in pieno sbando, nella conversazione di un altro caro conoscente.

Di mio, invece. Il ben noto ventaccio di Marsiglia. In un dicembre di diversi anni fa, in una Marsiglia veramente flagellata, dal sagrato di Notre Dame de la Garde sembrava che l’isolotto d’If venisse, insieme a tutte le memorie del Conte di Montecristo, da un momento all’altro inghiottito dalla furia del mare. La meravigliata sensazione destata dai tanti colori e dai tanti odori dei prodotti (quasi del tutto a me ignoti, a parte datteri e pistacchi) del sud del Mediterraneo, esposti nelle bancarelle di negozietti nelle strette vie vicine al Porto Vecchio. L’emozione ancestrale davanti alla stele che ricorda Pitea (e ad altri similari lacerti di storia), soprattutto!

Un sindaco: il suo paese, le sue passioni, intrecci vari

Ho scritto più volte altrove di Emilio Croesi, nato nel 1912, sindaco comunista di Perinaldo (IM) dal 1946 al 1986, anno della sua morte. In effetti, farlo mi consente più che in altri casi di incrociare aspetti dell’evoluzione del costume sociale e vicende di altre persone che ho conosciuto o che conosco tuttora. Ho sottolineato in altro blog che solo pochi anni fa avevo saputo della produzione da parte di Croesi di un ottimo Rossese, pregiato vino locale, apprezzato da Veronelli e da Soldati. Una coltivazione ed una vinificazione riprese adesso, a quanto pare con buoni esiti, da una nuova imprenditrice. Non so se la bottiglia, regalo di un nipote di Emilio, che da più di due anni devo andare a prendere qui a Bordighera (IM) da S. O., che, anch’egli beneficato di tale presente, mi ha fatto da tramite, sia un derivato delle ultime esperienze o risalga ai lontani tempi dello zio del donatore: difficile che il contenuto sia ancora bevibile, ma, anche per un astemio come me, sarebbe un bel trofeo da vetrinetta. Io avevo sempre pensato che Emilio fosse solo un floricoltore, come tanti uomini del suo paese, con un po’ di attenzione agli ulivi ed all’ottimo olio che se ricava. Per non aggiungere dei saporiti conigli che allevava, nutriti a sane erbe di macchia mediterranea di alta collina. Sapevo che in gioventù Croesi si era speso in corse in bicicletta, specie in Costa Azzurra. Alberto G. mi ha voluto rimarcare che al funerale di Emilio una persona, parlando in dialetto, ne riportava la disavventura occorsagli ad una vecchia Milano-Sanremo, quando sul Capo Berta, quello tra Diano Marina ed Imperia, si ruppe la catena della sua bicicletta mentre era in una fuga che avrebbe anche potuto essere vittoriosa. Ma di tante cose che si possono dire di Croesi viene più facile, discorrendo con amici, riferire la passione che metteva nel seguire, più anziano, altri sport da spettatore, come il pallone elastico, il balun, che a Perinaldo a livello amatoriale, sempre come riporta Alberto G., che talvolta ne fu protagonista in loco, trovava ancora alla svolta degli anni 1970, come in altri borghi della provincia di Imperia, tanti e tanti entusiasti estimatori. Ci si soffermava, dunque, l’altro giorno su di un episodio, concernente Giuseppe M. e testimoniato dal medesimo. Accaduto, presumo, agli ’80 appena iniziati. Giuseppe M. diede vita già agli inizi della salita finale, non visibile dal paese, in una corsa o della categoria veterani o della categoria gentlemen con arrivo a Perinaldo, a violenti strappi del gruppo. Non riuscì a vincere, ma venne premiato con atto autonomo da Croesi per la sua combattività. Incuriosito, ho chiesto a Giuseppe M. come avesse fatto il sindaco ad essere informato delle sue gesta. La semplice risposta è stata che aveva seguito l’epilogo di quel cimento facendosi portare in motocicletta, dimostrando, dunque, anche ormai anziano, una grande passione per quella disciplina. Ho raccontato questo avvenimento a Franco I., non accorgendomi che era presente anche Giuseppe M., il quale non mi ha smentito in nessun particolare. Franco I., per associazione di idee, si è ricordato con emozione di quando un gruppo di compagni, compreso lui, di Ventimiglia (IM) era uso a salire a Perinaldo per festeggiare in trattoria il Primo Maggio: si ritrovavano con uomini del posto con a capotavola Croesi, che dominava, allora, la scena. Me la immagino quella brigata, io che ho conosciuto Emilio dopo, anche se non rammento Feste del Primo Maggio passate là da me in Perinaldo. Nessuno, neanche Pierino S., che dimostra verso Croesi una vera venerazione ed il cui matrimonio era stato celebrato per l’appunto a suo tempo da Emilio, mi smentisce quando in conversari vari mi azzardo a sostenere, cercando di assumere un tono scherzoso, che quel sindaco è stato più tosto del celebre Peppone dei romanzi e dei film tratti dagli scritti di Guareschi. E che non aveva mai trovato sulla sua strada un vero Don Camillo. Di aneddoti in tal senso ce ne sarebbero tanti, anche troppi, da riportare. Ci si è soffermato in certi suoi scritti anche Arturo Viale, mercé le informazioni ricevute da un suo amico anarchico, abitante da pensionato a Perinaldo, un anarchico che il sindaco non riuscì mai a “catechizzare”. Ho dimenticato dettagli singolari appresi da poco da Franco B. circa l’entusiasmo che Croesi dava e riceveva dai giovani, che sempre negli anni ’70 e ’80 organizzavano sagre ed altre iniziative della Pro Loco. Passando ad aspetti più seri, un lontano cugino di Emilio pochi mesi fa inopitamente mi raccontava di altri personaggi famosi che incontrava a cena in casa del suo parente. Le memorie in merito per me più intriganti sono forse quelle degli abitanti di Perinaldo emigrati in Francia, soprattutto in Costa Azzurra, che in lontani mesi di agosto affollavano le Feste dell’Unità sotto quei platani, che per fortuna ci sono ancora. Donne e uomini che tornavano per votare alle elezioni, in particolare alle comunali – così mi si diceva – per sostenere in modo massiccio Emilio Croesi.

Divagazioni su Collasgarba

Ho già scritto che mio padre, i nonni e gli zii abitarono da metà 1932 al 1940 sulla collina di Collasgarba in zona Nervia di Ventimiglia (IM). Più precisamente, che il nonno in quel periodo lavorò lassù. Mio padre, prossimo ad essere imbarcato sulla Regia Marina, era, in effetti, poco dopo lo scoppio della guerra in Alto Adige a fare il cameriere. Lo zio, destinato, purtroppo a morire in Russia, venne subito richiamato. L’altro zio, più giovane, non ancora precettato, lavorara come panettiere.

Il punto é che a Collasgarba c’era una grande azienda agricola, il cui sviluppo venne bloccato dalle traversie e dalle rovine del conflitto. Riproduco qui sopra la copertina di un numero della rivista specializzata, che veniva pubblicata da quella ditta.

A seconda delle versioni sentite in famiglia, il nonno, aiutato talora nei primi tempi dai figli più piccoli, si occupava di diverse cose, ma soprattutto accudiva diverse mucche, inoltre importanti per ricarvarne letame, ottimo concime per le piante.

Ci sono tanti aneddotti, relativi a quegli anni, di cui potrò riferire altre volte.

Aspettavo di ritrovare e sapere di più su quella bella azienda. Ma devo ancora aspettare.

Qualcosa sulla Costa Azzurra

Se la memoria non m’inganna la prima volta che oltrepassai il confine con la Francia fu a cinque anni a settembre 1955 per andare a trovare lo zio materno – ritratto nella soprastante fotografia alla sua partenza (o una ripartenza) da Ventimiglia (IM) per la sua destinazione di cui qui a breve –, zio che fece in quel periodo una stagione nella squadra di calcio di Grasse (Alpi-Marittime), i dirigenti della quale, essendo la medesima a livello dilettanti, gli trovarono colà anche un lavoro, di cui non ricordo niente, ma che probabilmente non aveva a che fare con la locale storica industria della profumeria.

Non rammento neppure bene se da Nizza a Grasse abbiamo viaggiato con lo storico Le Train des Pignes, in cui da adulto mi sono con interesse imbattuto in romanzi di miei prediletti autori transalpini.

Credo che proprio allora mi siano rimasti impressi per sempre nella mente i platani di Francia, che, a ben vedere, non sono diversi dai nostri, ma che ancora adesso, facendo un esempio, se li scorgo in qualche scena di un film, assumono ai mei occhi una connotazione particolare.

A Nizza avevamo quella volta anche salutato velocemente dei cugini di mio padre. Non sono mai riuscito a ricostruire la storia dell’emigrazione in Francia di tanti nostri lontani familiari. Neanche di quelli più vicini, come il nonno, raggiunto in Costa Azzurra al più presto sul finire – deduco! – dell’estate del 1931 da papà, zii e nonna.

Abitarono – dicevano mio padre e mio zio Dante – brevemente, prima del ritorno subitaneo in Italia, a Le Cannet.

Dove mio padre – di lui posso almeno documentare qualcosa – altrettanto brevemente andò alla scuola elementare. Con risultati approssimativi. Non poteva certo imparare in pochi mesi una difficile lingua straniera. Anche se in seguito si vantò sempre di parlare discretamente, tenendosi, va da sé, in esercizio, il francese.

In quella classe ebbe come compagno (mio padre nato nel 1921, questi nel 1922: la solita retrocessione di un anno per uno scolaro immigrato!) il futuro corridore ciclista Lucien Lazaridès, ma conobbe anche il di lui fratello Apo (magari i link su Wikipedia qualcuno se li guardi in francese, se preferisce!). Mio padre, che qualche volta da ferroviere incontrò ancora questi fratelli sui treni, mi diceva sempre che Lucien aveva vinto il Tour de France del 1946, mai omologato, ma che in qualche modo un tempo trovavo in qualche modo sottolineato da qualche parte, come anche mi confermò, essendo io ormai adulto, un vecchio appassionato di ciclismo dalle parti di Cannes: tant’é!

Centrale nelle mie prime esperienze di Costa Azzurra fu Cap d’Ail, dove abitava un cugino della nonna, il quale ci veniva spesso a trovare e che, inoltre, ci fece spesso da autista e da cicerone nei dintorni della sua cittadina, davvero incantevoli. A lungo ho pensato e magari penso ancora che sotto questi aspetti la Francia sia davvero Douce France, come cantava Charles Trenet.

Cerco sempre di attenermi ad un lieve tocco…

Volendo interrompere questa mia (forse) prima carrellata di specifici ricordi alla mia adolescenza, mi rendo conto che, pur abitando molto vicini alla frontiera, a Ventimiglia (IM), all’epoca non ero poi ancora andato tante volte di là…

Miano! Mio padre, mio zio, mio nonno di sicuro erano nati a Miano di Medesano in provincia di Parma, borgo più vicino a Fornovo Taro che al capoluogo. E chissà quanti altri avoli, prozii e lontani cugini! Da qualche tempo con mio cugino abbiamo ripreso a scambiarci foto e ricordi di famiglia, ma riusciamo a ricomporre vicende soprattutto per la parentela legata alla nonna, radicata anch’essa a quei luoghi.

Altre volte ho evocato su questi temi certe atmosfere e certi aspetti mutuati dal film “Novecento” di Bernardo Bertolucci. In proposito, mi sono dimenticato di citare a mio cugino la scena in cui un bambino va a “pescare” le rane, una scena incantevole nel racconto di mio padre, analogo protagonista poco prima – data la sua età – della sua emigrazione.

Già, l’emigrazione. Emigrazione dovuta – di successione in successione – allo spezzettamento dei poderi; emigrazione che ha disperso di più i Maini; emigrazione che ha visto tutti rendersi onore nella vita; emigrazione che ha comportato per la mia famiglia un maggiore coinvolgimento dei cugini della nonna, come é stato per l’approdo definitivo – dopo una brevissima stagione francese a Le Cannet – a Ventimiglia (IM) nel 1932.

Solo nel dopoguerra le nostre terre di origine conobbero il benessere diffuso.

C’era anche lo zio Bruno, disperso nella seconda guerra mondale a dicembre 1942 nella Sacca del Don. Morto in Russia come il cugino Sergio, della famiglia che aiutò i Maini a stabilirsi definitivamente in Riviera. E lo zio Bruno era figlio del primo matrimonio di nostro nonno, che – lui, appena scampato agli orrori del conflitto e destinato ad una lunga vita! – al termine, appunto, della Grande Guerra si era visto portare via dalla spagnola la moglie ed una figlioletta: quando si dice il destino!

Queste note mi portano con la mente lontano, a curiosi aneddoti, pertinenti la vita in Miano dei nostri genitori e rinfrescati di recente con mio cugino...

Li avevo persi di vista da anni… L. veniva a scuola in pullman da un paesello e come tanti adolescenti pativa quel tipo di locomozione. Cambiò per l’Istituto di Ragioneria, nel quale conseguì una sorta di borsa di studio per frequentare un anno di scuola (validato) in America ai fini di fare pratica di inglese. E all’epoca un po’ di invidia la provai. Anche perché ai liceali quei percorsi erano forse preclusi. Laureato, era ancora timido in pubblico, sì da chiedermi se poteva venire a presentarmi in qualche comizio nell’entroterra: per farsi le ossa a parlare in pubblico. Di sicuro più tardi, se non prima, frequentò N. e S. Divenne manager, prima in banca (lo incontrai per caso davanti al Duomo di Milano), poi in un’industria. Quando lavoravo ancora lo vidi di sfuggita qui in Riviera. E mi persi in seguito i suoi numeri di telefono. Negli ultimi tempi ci siamo rivisti, ma sempre di fretta… P. non credo abbia mai conosciuto gli altri di cui accenno. Era creativo ed estroso già da ragazzo. Per lui i viaggi in autostop erano una dimensione esistenziale. Mi lasciai coinvolgere, se non proprio da lui, da altri amici, ma si era tutti assieme a fare squadra, in quello che per me fu un mezzo viaggio, comunque interessante, ma per lui e per B. un giro in mezza Europa. Oggi é un versatile artista affermato. Poeta, anzitutto. Ecco, lui l’ho un po’ recuperato tramite Facebook. G., anch’egli come P. di immigrazione siciliana, faceva il frontaliere nel Principato, quindi si alzava prima dell’alba, ma non mancava mai alle discussioni ed all’impegno del tormentato inizio anni ’70. Una sua leggera operazione mi fece conoscere, da visitatore, l’Ospedale di Monaco. Protagonista di un memorabile viaggio in auto (cui non potei partecipare perché decisamente impegnato sul campo) in Francia con N. e S., dai cui resoconti ho attinto molti particolari per le mie storie. Conobbe una bella granatiera di norvegese che felicemente sposò. E fece il tranviere ad Oslo. Lui l’ho intravvisto a Ventimiglia già pensionato, con splendidi figlioli e matrona ancora più radiosa. “Ci vediamo.”. “Quando torno, ci sentiamo!”. I saluti ce li scambiamo tramite i suoi fratelli. Quando capita. Ma poi ci siamo rivisti più spesso, si può dire ogni anno. E tante vicende e tanti amici abbiamo rivisitato con i nostri discorsi appassionati. Soprattutto mi ha fatto conoscere buona parte della storia affascinante della famiglia di M.P., la prima moglie di N., venuta ad abitare dopo la pensione nei nostri luoghi, e che G. passa a trovare ogni volta che scende in Riviera. N., d’immigrazione dal Polesine (e al secondo matrimonio di S. mi raccontò di sue ricerche storiche locali), faceva il bracciante nella campagna epicentro de “La curva del Latte” di Nico Orengo. Alle due di notte teneva testa a Francesco Biamonti in quelle lunghe discussioni nelle quali il romanziere di San Biagio della Cima, che non aveva ancora esordito come tale, dimostrava una sua grande dote, mai appieno oggi rammentata: la sua grande signorilità. N., dalla grande dialettica e dalla grande erudizione da autodidatta, conobbe una graziosa insegnante di Milano, la M.P. cui ho già accennato. Ne conseguirono l’amore e il trasferimento a Milano. In una di queste tappe, forse quella definitiva, lo accompagnammo io e S. Gustoso l’episodio delle strelitzie, da lui portate alla fidanzata, che, dimenticate a mollo, stavano per trasbordare dalla vasca da bagno. N. vinse un concorso pubblico, studiò pur lavorando, conseguendo via via diploma magistrale e laurea. E di conseguenza salì, mediante concorsi, i gradini di una onorata carriera, in diversi comuni dell’hinterland della metropoli lombarda. Ma quel suo amore di gioventù finì già diversi anni fa. Otto anni fa ho rivisto anche lui. Da allora ci siamo rifrequentati ogni volta che è tornato a Ventimiglia (IM). N., che mi ha fatto conoscere parte dei materiali da lui raccolti per la sua poderosa tesi di laurea, dedicata alle lotte dei braccianti del Polesine nel secondo dopoguerra. Ed autore di almeno un intrigante romanzo, di cui mi donò copia, presentato anche a Ventimiglia (IM) da un altro amico di gioventù, B.E., in un incontro pubblico di cui non avevo recepito notizia, perché quando lavoravo ancora mi facevo sfuggire troppi eventuali appuntamenti per me allora di carattere privato. Eppure ero già in pensione da poco quando N. era sceso da Milano per relazionare a sua volta su di un libro. Per me doppia occasione persa in quel caso. Trattandosi di memorie di carattere sociale sulla Ventimiglia di poco precedente la seconda guerra mondiale, su Ventimiglia durante il conflitto (bombardamenti, antifascismo, padre e figlio ebrei tragicamente catturati per i campi di sterminio), su Ventimiglia della ricostruzione e di pochi anni dopo ancora (con tante persone che pur ho conosciuto o di cui ho sentito le vicende, spesso affascinanti, come quella di Libero Alborno, uomo non poi troppo rivisitato da Nico Orengo nel suo “La curva del Latte“, quando lo rende come protagonista principale). Perché autore di questo lavoro è C., quel C. che proprio insieme a N. fu determinante per farmi entrare in politica. N. mi aveva confermato che al secondo matrimonio di S. c’era anche L., che non compare, perché arrivato in ritardo da Milano alla cerimonia, nelle fotografie di quel giorno, in cui, invece, si può notare che facciamo gli spiritosi io, lui e S., con T. tutto serio, ma senza la… sposa. N. mi aveva, inoltre, integrato la vicenda familiare della sua prima moglie, in parte confluita in un bel libro, scritto poco tempo fa da MP. N. mi aveva autorizzato, facoltà di cui mi sono avvalso più volte e mi avvalgo tuttora, a trascrivere suoi pensieri e suoi ricordi. Purtroppo è deceduto l’anno scorso… Storie un po’ così.

#Piazza d'Armi

Oggi Piazza d’Armi di Camporosso (IM), Camporosso Mare per la precisione, risulta occupata, a farla breve, da strade, case e da un bel giardino pubblico. Il nome con cui é stata lungamente conosciuta l’area in questione riporta agli anni prima dell’ultima guerra ed alla finitima Vallecrosia, proprio lì affacciata come confine occidentale, Vallecrosia dove erano collocate molte caserme: ma questo é un lato della questione che porterebbe lontano, comunque, alla necessità di approfondimenti. Per circa vent’anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, invece, quello spiazzo é stato occupato da quello che a lungo (quello di Bordighera sul Capo credo non fosse a caso destinato ai tornei giovanili) fu l’unico campo di calcio regolamentare della zona di confine. Non sono poi in tanti, tra le persone che frequento, a ricordarsi di tutto questo: eppure qualche fotografia gira ancora, soprattutto su Facebook. Tra il detto ed il vissuto – da bambino e da adolescente abitavo abbastanza vicino – emergono tanti ricordi di fatti curiosi, dai quali vado ad estrapolare un episodio che mi é stato raccontato da poco. Alla svolta anni ’60 guardava – in tribuna, mi viene da supporre – una partita in casa della Ventimigliese un signore ormai anziano, alto, robusto e dalla voce tonante, che ben avevo conosciuto per amicizie di famiglia. Gli si avvicinò un autista in livrea che gli disse che il suo titolare, assiso in autovettura, avrebbe desiderato parlargli: al che l’omone rispose che prima avrebbe guardato finire la gara. Fu grande il suo stupore di ritrovare infine ad attenderlo pazientemente l’ufficiale, al quale aveva salvato la vita durante la Grande Guerra, ancor di più nel riscontrare che era ormai un famoso magnate italiano dell’industria. La vicenda proseguì con aspetti qui ininfluenti, credo.

Non ho chiesto al mio interlocutore, genero di quella persona, come fosse stato possibile quell’avvistamento a distanza, ma me lo sono immaginato, come in parte ho ricostruito nella mia stesura, alla quale devo aggiungere il particolare di un muro basso, solo sormontato da un’alta rete per trattenere le pallonate.

E fuori dal football ne ha viste tante altre cose la vecchia Piazza d’Armi, luogo destinato ai circhi – ce n’erano ancora tanti in quegli anni e non arrivavano solo d’estate – e, sotto Natale, ai Luna Park. Tanto é vero che chi come me di tanto in tanto andava in settimana a scorazzare su quel brullo terreno, spesso lasciato incustodito dalla società, ne vedeva le pessime conseguenze. Insomma, da quelle parti tirava aria di pionierismo di ritorno, anche perché la Ventimigliese anteguerra aveva un bel campo negli attuali Giardini Pubblici della città di confine …