neurob

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Di tutte le illusioni forse questa è la peggiore - credere che ancora qualcuno può toccarti senza incrinare il ghiaccio che ti regge, e frantumarti.

Come le note del secondo trio di Schubert si spande nell'aria della stanza – questa mia prigione che conforta - il tuo volto e si libra sugli stipiti della porta cigolante, sul pavimento impolverato, sui piatti ancora da lavare, e il grigio della piovasca ti reclama; potessi per te riveder l'azzurro e risentire l'aria di Maggio che tarda ad arrivare.

Ma m'appari e mi dispari a ogni battito degli occhi e il letto freddo dall'assenza come potrebbe mai redimere il piombo che è nel cielo e i rivoli d'acqua ai lati della strada.

E mi prendi per la mano e mi ritorni agli anni e a quelle estati quando ancora non c'era la paura della morte e la luna brillava chiara sul castello e sulla rocca, dove sembravano torce le luci dei fanali arancioni, e squarciavano le notti di un Agosto troppo breve, tra il cupo monosillabo del gufo e il tonfo sordo dei passi sul selciato.

E io son lì, ho sedicianni, e nel buio ti conobbi, e il tuo amore, il filo biondo dei capelli che si staglia sul chiaroscuro alternato delle scale e le tue mani adamantine e l'intenso odore quasi estivo della paglia.

Ma oggi vivo qui, su questa sedia dalla vecchia stufa appena riscaldata, la mia pur cara morte quotidiana, e non ci sei, e non so come trovarti se non nei fumi già dissolti della notte, nell'aria che si fa più triste ad ogni ora, ti cerco agli angoli dei muri, sotto il letto polveroso, persino all'interno delle scarpe, e non ci sei, e nel grigio della pioggia ogni cosa discolora.