Missioni via mare del partigiano Corsaro

Come si desume dall’opera “MARTIRIO E RESISTENZA della Città di Ventimiglia nel corso della 2^ Guerra Mondiale” < Relazione per il conferimento di una Medaglia d’Oro al Valor Militare – Edita dal Comune di Ventimiglia (IM), 10 aprile 1971 – Tipografia Penone di Ventimiglia (IM) >, dopo lo sbarco alleato del 30 agosto 1944 sulla Costa Azzurra, il Comandante Partigiano Stefano “Leo” Carabalona indirizzava ai primi di ottobre di quell’anno da Pigna (IM), Alta Val Nervia, dove infuriava la lotta per la difesa della neonata Repubblica Partigiana dalla vita sin troppo breve, a Ventimiglia (IM), da Giulio “Corsaro” Pedretti e Pasquale Corradi, quattro militari anglo-americani, che dovevano raggiungere la zona liberata.

Si trattava, come in effetti si riporta anche qui, in “La missione Flap“, di PauI Morton da Toronto (Canada), Geoffrey Long da Pretoria, W. Mac Lelland da Lanark (Scozia) e Maurice R. Larouche da Detroit (USA). Come si potrà, forse, evincere da quanto accennato in “La missione Flap“, l’operazione aveva una sua complessità alle origini (questi alleati erano arrivati in provincia di Imperia dal Basso Piemonte, insieme ad altri che ripararono tra le loro linee attraverso le montagne; in entrambi i gruppi vi erano ex-prigionieri di guerra), ma anche nello svolgimento (un tragitto, quello da Pigna a Ventimiglia, compiuto in buona parte sulle colline, vestiti da contadini, accompagnati da un patriota, Pierino Loi, esperto dei luoghi.

Ed ancora, si può notare una rimarchevole lungimiranza dei partigiani – in ispecie di Carabalona e di Pedretti – per le iniziative clandestine, tenuto conto delle molteplici difficoltà; ad esempio, per Carabalona di essere in quel periodo anche a capo di un distaccamento della V^ Brigata “Garibaldi”, impegnata a combattere contro i tedeschi. Pedretti e Corradi riuscirono a condurre i militari alleati, di cui si é detto, di notte con una barca a remi a Montecarlo: primo forte episodio di buona riuscita all’insegna di intelligence partigiana.

Pedretti e Corradi passarono di lì a breve in forza al Comando Americano deIl’O.S.S. di Nizza, occupandosi, in interazione con il Gruppo Sbarchi di Vallecrosia (IM), di collegamento fra truppe alleate e reparti partigiani, di raccolta e trasmissione di informazioni militari, di asilo, assistenza e smistamento dei componenti delle missioni alleate da e per l’Italia e dei partigiani che dovevano espatriare. Rientrati a Ventimiglia col materiale necessario, fra cui due radio ricetrasmittenti, ebbero base logistica negli appartamenti delle famiglie Pedretti e Corradi e di Renato Sibono, tenente di artiglieria. I collegamenti con le forze partigiane erano assicurati dal maggiore – a riposo – degli Alpini, Raimondo e dal figlio, che si spesero, anche assieme a Efisio Loi e Albino Machnich, nella raccolta delle informazioni militari. Le responsabilità e i rischi maggiori del Gruppo di Ventimiglia furono di Giulio “Corsaro” Pedretti, che cumulò alla fine della guerra una trentina di perigliose missioni via mare, quasi tutte con motoscafi forniti a quel punto dagli alleati. Ad esempio, il 6 gennaio 1945 guidò il mezzo che condusse il capitano Bentley (ed un suo sottoposto) davanti a Vallecrosia per adempiere, dopo trasbordo ed inoltro in montagna, alle funzioni di unico ufficiale alleato di collegamento con la Resistenza della provincia di Imperia. E fu attivo a marzo, quando si trattò di tentare di fare rientrare – in modo rocambolesco – la squadra che aveva portato in salvo a Nizza Stefano “Leo” Carabalona, ormai passato a responsabilità esclusive di informazione, ma gravemente ferito nel corso di una operazione clandestina a Vallecrosia. Infatti, dal resoconto di Renzo “U Longu” Biancheri in “Gruppo Sbarchi Vallecrosia” di Giuseppe “Mac” Fioruccci:”Il nostro ritorno fu programmato subito con il motoscafo di Pedretti e Cesar, che doveva recuperare anche alcuni prigionieri alleati (5 piloti: 2 inglesi, 2 americani, 1 francese); ma il motoscafo in mare aperto andò in panne e non ne volle sapere di riavviarsi. Eravamo in balia delle onde; Renzo Rossi, “Corsaro” e Cesar sotto un telo, al chiarore di una lampada, rabberciarono alla meglio il motore. Quasi albeggiava e la missione fu annullata perché ormai troppo tardi“. Ed ancora, Renzo Biancheri: “Pochi giorni dopo, senza Achille (“Andrea” Lamberti) , che rimase a dirigere il Gruppo a Vallecrosia, effettuai con Girò un’altra traversata, accompagnando “Plancia” (Renato Dorgia) a prendere armi e materiale per i garibaldini. Il ritorno lo effettuammo con la scorta di una vedetta francese, che accompagnò il motoscafo di Pedretti. Vi furono momenti di apprensione perché da bordo della vedetta si udì distintamente il rombo del motore di un motoscafo tedesco, che, tuttavia, non essendosi gli occupanti accorti della nostra presenza, passò oltre“.

Alcune missioni alleate vennero, inoltre, prima e dopo gli episodi già messi in evidenza, facilitate dal manipolo di patrioti della città di confine, organizzato intorno a “Corsaro”, che ne accoglieva i com­ponenti, per poi fornirli di carte di identità e tessere annonarie – trafugate da un impiegato del Comune di Ventimiglia, Arturo Viale –, ed aiutarli a raggiungere Imperia dove in quel torno di tempo si fermava, causa bombardamenti, la ferrovia. Un altro riepilogo si rende necessario per fare il punto su un aspetto di questa attività patriottica di cospirazione. Dopo l’occupazione di Pigna (ottobre 1944) da parte dei tedeschi, sei partigiani del Comando della V^ Brigata, Stefano Carabalona (per l’appunto, che era in quel momento responsabile del S.I.M. – Servizio Informazioni Militari – di quel raggruppamento e, quindi, di tutta la zona di confine), Antonio Longo, Tullio Anfosso, Giulio Licasale, Luigi Gastaudo e Filatro si rifugiarono in casa Pedretti. Poco dopo vennero portati da Pedretti in Francia, dove si trasferirono anche alcuni componenti del Gruppo “Corsaro”: più precisamente nella villa Le Petit Rocher di St. Jean Cap Ferrat, sita nella baia di Villafranca, punto di riferimento alleato anche per il “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”.

Infatti, venne istituito un regolare servizio di rifornimenti di armi, medicinali e viveri per i partigiani italiani – e di esfiltrazione in Francia di ex-prigionieri alleati – tramite la S.A.P. (detta anche, come più volte sottolineato, Gruppo Partigiano Sbarchi) di Vallecrosia: un quadro di azioni, insomma, in cui si situano pure avvenimenti già citati, come il tragico ferimento di Carabalona.

Ed ancora: al Petit Rocher il Comando alleato aveva anche costituito una scuola sabotatori, frequentata da ventimigliesi, come Giuseppe Stroppelli e Giovanni Leuzzi, e vallecrosini, quali Ampelio “Elio” Bregliano e Renato “Plancia” Dorgia, questi ultimi appartenenti al più volte menzionato “Gruppo Sbarchi Vallecrosia”.