«I furbetti del decretino» di Massimo Alberti – Radio Popolare, 24 marzo 2020

Il problema delle tante persone in circolazione, resta indissolubilmente legato al lavoro non essenziale: ormai, negarlo significa negare l'evidenza. Secondo uno studio della fondazione Sabatini, il 40,3% dei lavoratori «consentiti» dal decreto del governo, è in realtà impiegato in filiere non essenziali. Andando a riempire strade e mezzi pubblici.

Sono 4.5 milioni le unità lavorative che non rientrano in attività fondamentali

http://www.fondazionesabattini.it/ricerche-1/ricerca-coronavirus-e-lavoro

Gli statistici dell'università di Bergamo dell'«Osservatorio sulla mobilità COVID-19» monitorano il tracciamento delle celle telefoniche – quelle con cui la regione Lombardia allarmò sul 40% dei lombardi in movimento: rilevano che gli spostamenti crollano, e aumenta la distanza tra le persone, il sabato e la domenica. E cioè, quando chiudono le imprese non essenziali, considerato che la stragrande maggioranza dei servizi essenziali funziona anche il fine settimana.

Il decreto di Conte ha maglie larghe: consente, ad esempio, di stare aperto a chi produce profumi, con i codici Ateco del settore chimico, denuncia il sindacato. E quel che sta chiudendo, chiude grazie all'azione dei lavoratori: la camera del lavoro di Milano stima che la Fiom ha stipulato accordi nel 90% delle aziende metalmeccaniche in cui è presente: circa 300 aziende, che corrispondono a cinquantamila lavoratori. Per la prima volta, quindi, il numero dei lavoratori in circolazione a Milano per lavori non essenziali cala, passando dai trecentomila (stima confermata anche dai dati messi a disposizione dalla camera di commercio) a circa duecentocinquantamila. A conferma che la grossa partita si gioca sul settore metalmeccanico, e nelle Pmi.

È in questo contesto che arrivano i «furbetti del decretino», ovvero chi non potrebbe produrre, ma ci prova. Alcune delle tante segnalazioni a Radio Popolare in queste ore, ahinoi da mantenere sufficientemente vaghe per garantire l'anonimato ai lavoratori. Siamo nel milanese, in un'azienda lontanamente legata alla filiera alimentare, tanto lontana che i codici non rientrano nelle attività fondamentali, ma è già partita l'autocertificazione al prefetto, contando che i controlli difficilmente arriveranno. Stesso discorso per un'azienda metalmeccanica del Bresciano: anche qui, niente codici «autorizzati», ma autocertificazione che «tanto finché non ci controllano possiamo lavorare, tenete d'occhio alle mail», il messaggio agli operai. Una apposito circolare del ministero dell'interno emessa oggi, si limita ad invitare i prefetti a verificare le situazioni di autocertificazione «con celerità». Ma senza sanzioni. E nel nuovo decreto che comporterà ulteriori restrizioni, non è previsto nulla di più: i militari a disposizione dei prefetti controlleranno gli spostamenti, non le imprese.

C'è poi chi prova a scaricare sui dipendenti il rischio d'impresa: in aziende che dovranno chiudere, i sindacati sono già intervenuti per inviare diffide che impediscano la messa in ferie forzata fuori dai termini contrattuali. In altri casi, e qui parliamo di cooperative sociali, dal datore di lavoro non c'è stata alcuna informazione sulla possibilità di prendere i congedi, invitando alle ferie per risparmiare sui costi.