«'Chiudete Bergamo e Brescia'. L'Iss lo chiedeva già il 2 marzo ma è stato ignorato» di Massimo Alberti – Radio Popolare, 28 marzo 2020

Una zona rossa nei comuni focolaio di Bergamo e Brescia. È la richiesta che il consiglio di sanità ha portato al tavolo tecnico scientifico, che affianca il governo, già il 2 marzo, all'alba della diffusione del contagio. Una richiesta ufficiale mai presa in considerazione. Da lì in poi il virus è dilagato nelle due province, con migliaia di contagiati e di morti. Medici, sindaci, cittadini lo dicono da tempo: non chiudere le aree focolaio nelle province di Bergamo e Brescia è stato un errore determinante. La conferma arriva da un documento ufficiale che lo metteva nero su bianco, ma è stato ignorato. La notizia compare per la prima volta sul quotidiano online «The Post Internazionale» il 25 marzo.

https://www.tpi.it/cronaca/alzano-lombardo-nembro-iss-2-marzo-chiusura-coronavirus-bergamo-20200326573710/

Nell'ambito di un reportage da Bergamo, la giornalista Francesca Nava rivela che una nota tecnica dell’Istituto superiore di sanità chiedeva che nei comuni bergamaschi di Alzano Lombardo e Nembro e in quello bresciano di Orzinuovi, venisse creata una zona rossa, come quella di Codogno. Quindi aree isolate e chiusura delle imprese.

Sabato 28 marzo la giornalista Nuri Fatolahzadeh del «Giornale Di Brescia» dà conto della conferma da parte dell'Iss di questo carteggio interno al comitato tecnico scientifico, dove siedono rappresentanti delle regioni, della Protezione civile, del ministero della Salute, quindi del governo.

Erano i giorni di «Milano non si ferma», «Bergamo non si ferma», quelli degli aperitivi e degli inviti a non fermare il commercio, quelli in cui Confindustria premeva per non fermare le produzioni nonostante fosse già chiaro che in quelle aree il contagio si stesse allargando senza un freno: e la nota tecnico-scientifica diceva chiaramente questo: si deve chiudere. Non a caso la nota sottolineava la vicinanza di importanti centri urbani, come ulteriore fattore di rischio. «Tpi» aggiunge che questa nota viene ulteriormente integrata il 5 marzo, ma in questo caso non c'è conferma di chi l'abbia vista. La nota del 2 marzo, però, sul tavolo del comitato tecnico scientifico c'era: lo conferma sempre a «Tpi» la Protezione civile.

https://www.tpi.it/cronaca/coronavirus-inchiesta-nava-tpi-risposta-protezione-civile-video-20200326574123/

«L'abbiamo valutata ma non si poteva chiudere tutto. È stato già doloroso fare quelle zone rosse che abbiamo fatto» sono le risposte preoccupanti che Agostino Miozzo della Protezione civile dà alle domande di Veronica Di Benedetto Montaccini. «Stavamo valutando e poi è stato deciso il lockdown nazionale» aggiunge Miozzo. Il cosiddetto lockdown nazionale arriva però solo l'8 marzo e, come sappiamo, non chiude le imprese e prende prime blande restrizioni comuni a tutto il territorio, solo sui comportamenti individuali, ignorando le fabbriche e la situazione specifica di zone di fatto focolaio. Un primo decreto sulle imprese arriverà solo il 22 marzo, quello definitivo il 25. Nel frattempo nelle province di Bergamo e Brescia i morti ufficiali sono oltre 2000, ma secondo i sindaci è una cifra ampiamente sottostimata.

Vanno ringraziate le colleghe di «Tpi» e del «Giornale di Brescia» per l'eccellente lavoro.